La propaganda europeista da anni martella le opinioni pubbliche dei 28 veicolando la (falsa) convinzione che la Germania sia il più grande successo dell’Eurozona e che le sue ricette applicate in società ed economia dovrebbero essere assunte a modelli di riferimento per l’intera comunità europea. La realtà non corrisponde esattamente ai racconti del Comitato Ventotene e basterebbe uno sguardo, neanche tanto approfondito, alla situazione interna del paese per capire che si tratta di uno dei più grandi miti costruiti dalla fabbrica di fake news, insieme a quello svedese. Secondo un’inchiesta del Der Spiegel del 2012, la ricetta economica tedesca basata su un modello neomercantilista fortemente dipendente dalla politica esportatrice verso territori extracomunitari che ha reso possibile al paese di diventare la prima potenza economica d’Europa sarebbe un finto successo perché ha arricchito una piccola parte della popolazione a fronte dell’impoverimento di milioni di tedeschi. Infatti, da anni gli stipendi di operai generici e dipendenti base sono bloccati, caratterizzati da contratti precari con poche possibilità di regolarizzazione a tempo indeterminato e bonus (di qualsiasi tipo) nulli; inoltre la paga mensile media per diverse mansioni è lentamente diminuita sotto la soglia dei 800 euro e figure professionali come cuochi, camerieri e insegnanti percepiscono stipendi inferiori a quelli del 2003.
Marzahn è uno dei simboli di quella Germania volutamente dimenticata e assassinata dalla globalizzazione: palazzi di recente costruzione e aree giochi nascondono un tasso di disoccupazione doppio rispetto alla media nazionale, la metà della popolazione vive di sussidi statali e criminalità dilagante
La causa di tutto ciò? L’inchiesta accusa le politiche neoliberiste che hanno deregolamentato il mercato del lavoro tedesco nel nome della flessibilità, comportando un generale abbassamento dei salari e una precarizzazione dei rapporti di lavoro: oltre 900mila i cosiddetti “precari” nel 2012 rispetto ai 300mila del 2003. Nel 2015, il Paritätische Gesamtverband, un’associazione attiva nel sociale, denunciava in un rapporto il ritorno della povertà nel paese ai livelli del pre-unificazione: 12 milioni e 500mila degli 80 milioni di cittadini guadagnavano meno di 540 euro al mese, vivendo in stato di povertà. Una situazione, a detta dell’associazione, causata dai tagli alle politiche di tutela del lavoro. Nello stesso anno, secondo il Destatis, l’ufficio di statistica tedesco, erano oltre 3 milioni i poor worker, ossia quei lavoratori in soglia di povertà per via dello stipendio non allineato al costo della vita. E che dire della situazione sociale? Tanto è stato scritto sugli stupri di massa del capodanno di Colonia del 2016 operati da bande di immigrati, specialmente medio-orientali e balcanici – parte di essi richiedenti asilo, rifugiati umanitari e profughi, e da allora la Germania è stata sconvolta da diversi attentati a matrice islamista; eventi che hanno giocato un ruolo fondamentale nell’ascesa di partiti antisistema come Alternativ für deutschland alle recenti elezioni.
Il modello d’integrazione tedesco forse non è mai stato capace di germanizzare i non autoctoni, ed oggi più che mai mostra la vastità delle sue falle tra attentati terroristici, proliferazione di ghetti e no-go zones. Secondo una ricerca del Gatestone Institute, nel 2016 soltanto 34mila rifugiati, su oltre un milione di entrati nel paese tra il 2014 e il 2015, avevano trovato un’occupazione regolare, con contratto e tutele sindacali. Dati confermati, in parte, anche dalla Bundesagentur für Arbeit, l’Agenzia federale del lavoro, che nello stesso anno denunciava che dei 2 milioni e 500mila abitanti del paese senza occupazione, il 43,1% era straniero o tedesco naturalizzato. La stessa agenzia nel rapporto approfondiva le cause della situazione occupazionale tra etnie, sottolineando l’importanza giocata dal diverso background culturale nelle possibilità di trovare un’occupazione, o quantomeno una soddisfacente, ed integrarsi meglio nella società. Un’inchiesta del Wall Street Journal dello stesso anno ha invece portato alla luce il fallimento del progetto di inserimento dei profughi nel mondo della grande imprenditoria tedesca, tanto auspicato dal governo Merkel nel 2015. Tra i casi più clamorosi Deutsche Post, che ha offerto 1000 posti di lavoro a rifugiati ricevendo solo 235 domande di partecipazione, e Continental AG che ha avviato un percorso formativo con finalità d’assunzione per 50 rifugiati, terminato soltanto da 15 degli aspiranti.
In Germania, durante le celebrazioni del capodanno 2016, specialmente a Colonia, hanno avuto luogo delle violenze di massa operate da bande organizzate di profughi, richiedenti asilo e immigrati mediorientali e balcanici, al termine delle quali circa 2mila persone sono state vittime di stupri, aggressioni e rapine
Se la situazione lavorativa dei nuovi tedeschi è drammatica, quella vissuta dai tedeschi è tragica stando al rapporto “Sulla criminalità nel contesto della migrazione” della BKA, la polizia federale tedesca, coprente reati compiuti da stranieri, richiedenti asilo e profughi nel periodo 2013-17. Nel 2016, questa categoria di persone si sarebbe macchiata di 3404 reati sessuali (su un totale di 6100 denunciati) una media di 9 al giorno; un aumento vertiginoso considerando i 559 crimini a sfondo sessuale del 2013, per una media di 2 al giorno. Secondo il rapporto le principali nazionalità protagoniste di tali reati sarebbero in ordine: Siria, Afganistan e Pakistan. Alla luce di questi numeri, forse non è un caso che in occasione delle celebrazioni del nuovo anno, le autorità berlinesi abbiano deciso di realizzare zone di sicurezza per le donne a Pariser Platz, suscitando scalpore in Occidente, ma ottenendo consensi nel paese.
Un capitolo a parte andrebbe dedicato alla salute mentale dei tedeschi. Secondo una ricerca dell’OCSE sull’utilizzo e abuso di farmaci nei paesi sviluppati, in Germania il numero di coloro che consumano antidepressivi con assiduità è aumentato del 46% tra il 2007 ed il 2011, facendo del paese uno dei più afflitti dal problema della farmacodipendenza dietro la regione scandinava. Dati sorprendenti anche secondo l’organizzazione che aveva associato l’incremento nell’uso di questi farmaci alla recente crisi economica, salvo poi dover fare marcia indietro leggendo i numeri di Germania e paesi scandinavi, in cui l’abuso è andato crescendo senza sosta, quindi apparentemente slegato ai cicli economici. Il tema dell’utilizzo di antidepressivi in Germania ha attirato l’attenzione di diversi studiosi e centri di ricerca. Secondo un’inchiesta del 2015 di Deutsche Welle, la principale emittente pubblica tedesca, in Germania la media dei consumatori di antidepressivi è aumentata dai 52 ogni 1000 abitanti del 2000 ai 104 del 2012 – la media europea è stabile a 56 ogni 1000 abitanti.
Nonostante il trend economico positivo, in Germania l’uso di psicofarmaci è andato aumentando vertiginosamente negli ultimi 17 anni, come denunciato dall’Ocse, posizionandosi ai primi posti tra i paesi sviluppati, dietro solo alle nazioni scandinave
L’emittente, riprendo i dati forniti dall’Ocse e dalla Techniker Krankenkasse, un’importante compagnia tedesca di assicurazione sanitaria, ha portato alla luce diversi dati: tra il 2000 e il 2013 sono aumentati del 2% i lavoratori assicurati a cui sono stati prescritti antidepressivi, gli antidepressivi sono prescritti ad un tasso due volte maggiore alle donne rispetto che agli uomini, i lavoratori in età matura prendono più antidepressivi rispetto a quelli più giovani e l’uso di antidepressivi è più frequente tra operatori dei servizi sociali, precari ed operai. L’indagine si conclude con l’opinione del dottor Malek Bajbouj, professore di neuropsichiatria all’ospedale universitario di Berlino, secondo il quale nel paese non è in corso alcuna epidemia di abuso da psicofarmaci, ma si tratterebbe piuttosto di un aumento legato alla maggiore accettazione sociale dei trattamenti farmacologici e alla minore stigmatizzazione di coloro che ne fanno uso.
La Germania è, quindi, anche questo: un palazzo in rovina che viene costantemente riverniciato e ammodernato superficialmente in modo tale da nasconderne le crepe e renderne gradevole l’aspetto, ma destinato a soccombere sul proprio peso, un gigante d’argilla che ha deciso di rimediare alla crisi demografica dando luogo ad una politica migratoria che ha fatto entrare nel paese oltre un milione di persone nel solo 2015 salvo poi ricorrere a ripari impacciati e miopi ai primi segnali di instabilità sociale. Un paese che ha perso la bussola ma che continua a guidare il resto della squadra, l’Ue, verso la stessa, tragica sorte.