venerdì 22 dicembre 2017

Non fu pressione ma un tocco fatale: la Commissione Banche stritola Renzi

Fortemente voluta da Renzi per sacrificare Visco e salvare la Boschi dagli scandalosi affari di famiglia in merito al caso Etruria, la commissione, presieduta dal democristiano di sempre Pierferdi Casini, si è trasformata in un boomerang per il segretario PD. É inutile, Matteo non riesce a rialzarsi e questo prequel di campagna elettorale sembra spoilerare che la via per palazzo Chigi gli è definitivamente preclusa. Gli altri cani banchettano già e Di Maio annuncia che se non prenderà il 40% sarà disposto a governare con il PD. Cade il gran rifiuto. Con gran viltade. Anche il MoVimento vuole la sua parte da protagonista. Chissà però che con tutta questa propositività non rischi di scendere sotto la metà del 40%. La crisi infinita delle amministrazioni cinque stelle non incoraggiano l'ennesimo rilancio elettorale di una formazione ormai pienamente accredita nel quadro della stabilità istituzionale.
In questa commissione d'inchiesta, che è sì una grande saga ma a dire il vero pure piuttosto noiosa, il grande momento sarebbe andato in scena ieri. L'audizione di Visco. Passa le forche caudine il governatore perché la commissione banche non parla di banche. Il gioco è una guerra per procura condotta contro Renzi e Boschi. Tutta politica. Ma Visco ci tiene a mettere i puntini sulle i: la crisi ci insegna ad affinare gli strumenti di recupero dei crediti e l'impossibilità irreversibile di tutelare integralmente gli investitori. Ne sanno qualcosa i correntisti di Etruria,i convitati di pietra della commissione.
Si è concesso un trionfo il governatore della Banca d'Italia, domando la commissione: “Renzi mi chiese di Etruria nel 2014, ma risposi che di banche in difficoltà parlo solo con il ministro dell'Economia”. L'etichetta è importante. Visco riabbraccia tutti: Gianni Letta, Giorgio Napolitano, Mattarella, Monti. I grandi vecchi lo riaccolgono e riabilitano dopo averlo protetto dall'affondo di Renzi. La stabilità complessiva non può essere barattata per il tornaconto di un politico compromesso, scaricato dai poteri che contano nel paese. I nuovi astri si propongono: Minniti e Calenda hanno già ricevuto le investiture di stampa e borghesia.
Il cerchio attorno al cosiddetto Giglio Magico si stringe. Oggi Ghizzoni ha tirato in ballo Carrai, sodale di Renzi.L'ex ad di Unicredit conferma i colloqui con la Boschi nel 2014, quando era ministra: “mi chiese se fosse pensabile un'acquisizione di Etruria da parte di Unicredit, ma non ci fu pressione”. Maria Elena è una donna gentile. “Non ci fu pressione” è il mantra salvifico della cordata renziana che assolve la Boschi e scongiura il tracollo. Per ora. Si aspettano colpi di scena, la saga è lenta ma nessuno è mai spacciato per sempre. L'importante è continuare ad andare in onda...

giovedì 21 dicembre 2017

Pagate 33 centesimi l'ora per lavorare nel call center

Un bonifico di 92 euro per un mese di lavoro e tagli alla retribuzione in caso di assenza anche di soli tre minuti dalla postazione per andare alla toilette. Con la conseguenze che i compensi scendevano anche fino a 33 centesimi l'ora. A segnalare questo incredibile caso di sfruttamento sul lavoro è la Slc Cgil di Taranto, che ha scoperto e denunciato, anche alla Procura della Repubblica, un call center della stessa città pugliese.
In una conferenza stampa tre delle lavoratrici sfruttate hanno raccontato delle loro paghe irrisorie, con stipendi in nero e nessuna copia del contratto di lavoro ai dipendenti. "Stiamo valutando con i nostri avvocati la possibilità di applicare la legge anti-caporalato anche a questo contesto - ha spiegato Andrea Lumino, segretario generale della Slc Cgil Ionica - perché in termini di paga e trattamenti ci sono le stesse condizioni".
"Un annuncio su un sito web - ha spiegato il sindacalista - parlava di una azienda di Lecce con sede a Taranto, che offriva ben 12mila euro all'anno, ma la realtà non solo era differente, ma superava di gran lunga ogni possibile immaginazione. Dopo un periodo di lavoro iniziato a metà ottobre e terminato a dicembre, le lavoratrici hanno scelto di licenziarsi. In busta paga avevano ricevuto il primo allucinante bonifico di appena 92 euro per un intero mese di lavoro". Alle loro rimostranze, "l'azienda ha risposto - ha aggiunto Lumino - che lasciando il posto per andare al bagno anche per un ritardo di tre minuti non poteva riconosceva la retribuzione oraria. Ho allora calcolato l'effettiva paga con la calcolatrice - ha concluso il segretario Slc - e il risultato è stato di 33 centesimi di euro l'ora".
Per Lumino, "quello del call center è un settore malato: leggi sfavorevoli, aziende che andrebbero controllate addirittura dall'antimafia e dove i grandi committenti, come ad esempio Fastweb, pensano solo al massimo risparmio, disinteressandosi dell’ovvio e conseguente sfruttamento di chi lavora, l'anello più debole della catena. Noi continuiamo a stare al fianco di questi anelli deboli e se Fastweb non interverrà immediatamente lo riterremo corresponsabile di questa situazione: quello che hanno subito queste donne non deve essere considerato lavoro e questi call center vanno chiusi. Le istituzioni si schierino al nostro fianco - ha aggiunto il sindacalista - e firmino il protocollo sulla legalità per i call center che abbiamo proposto lo scorso mese: non è più in ballo solo il rispetto di un contratto, ma la dignità di esseri umani e di una intera comunità. Queste donne sono state trattate allo stesso modo in cui sono state trattate le lavoratrici sfruttate nei campi e quindi, come prima cosa, lotteremo perché la legge che punisce i caporali possa finalmente essere estesa anche al settore dei call center".

mercoledì 20 dicembre 2017

Addio a marchio simbolo del made in Italy: Borsalino in fallimento

Addio a Borsalino, il marchio dei cappelli made in Italy per eccellenza, è ufficialmente fallita. Il tribunale di Alessandria ha respinto la seconda richiesta di concordato (la prima fu nel 2015) dell’imprenditore italo svizzero Philippe Camperio che ha rilevato in affitto la storica azienda piemontese.
E’ stata la sua Haeres Equita a raccogliere, due anni fa, i cocci di un’azienda precipitata nel baratro a causa di un azionista scomodo, il bancarottiere Marco Marenco, arrestato nell’aprile del 2015 a Lugano per un crac monstre da oltre 3 miliardi nella girandola di decine di società attive nel trading del gas (tutte fallite).
Camperio si fece carico del risanamento. Ma qualcosa non ha funzionato e la Borsalino ha imbocca il viale del tramonto, per parafrasare un titolo caro a quella Hollywood che l’ha resa un’icona di stile nel mondo. Dopo la sentenza del Tribunale, Camperio, confondatore del gruppo di private equity Quest Partners, ha tuttavia espresso in una nota la volontà di voler continuare a costruire un futuro per Borsalino.
“Continuiamo nell’impegno volto a trovare soluzioni che preservino questo iconico brand e gli interessi di tutti gli stakeholders: i livelli occupazionali, i fornitori, i clienti, la città e le istituzioni di Alessandria” ha proseguito lo stesso imprenditore svizzero. Nella nota stampa Haeres Equita,  ha sottolineato l’intenzione di continuare “a lavorare con le risorse messe a disposizione per il rilancio di Borsalino e per poter proseguire il trend positivo degli ultimi 24 mesi, preservando un patrimonio d’eccellenza del sistema manifatturiero italiano”.
In mezzo ci sono 160 anni di storia e di mito celebrato nelle sale cinematografiche. Resteranno il bianco e nero di miti come Humphrey Bogart o come la coppia Alain Delon-Jean-Paul Belmondo; oppure dagli eroi tenebrosi, come Indiana Jones, e perfino dai mostri, come Freddy Kruger.
La storia di Borsalino nasce in un laboratorio di Alessandria, aperto nel 1857. Alla vigilia della prima guerra mondiale Borsalino produceva circa 2.000.000 di cappelli all’anno e dava impiego a oltre 2.500 dipendenti.
All’estero il marchio conquistò i mercati più importanti: quello della City londinese, con le bombette, ma soprattutto quello statunitense, dove i cappelli Borsalino furono adottati dallo star system hollywoodiano.
Il suo ridimensionamento, oggi i dipendenti sono 134, avvenne in concomitanza con la caduta in disuso dei copricapi formali. Dopo un cambio di proprietà negli anni novanta, la situazione è andata via via peggiorando fino all’epilogo odierno.

martedì 19 dicembre 2017

Security. Cos'è diventato il concetto di sicurezza nella nostra società?


Metropolitana di Milano. Pomeriggio di un giorno qualunque. E’ lì al cenro del vagone. Postura tra Rambo e uomo che non deve chiedere mai. Pistola al fianco e giubbetto con scritta imperativa, ostentata con orgoglio: SECURITY .

Security o sicurezza? Non è una questione di poco conto, credetemi. Se fate una passeggiata su wikipedia immagini e cercate “sicurezza”, nelle prime figure vi apparirà qualche casco giallo di protezione per operai, o una famigliola con i genitori che proteggono i bambini, o un nonno che fa attraversare la strada agli scolari. Se poi fate una passeggiata sulle immagini di “security “vi appariranno lucchetti e sagome di maschi armati con la nobile scritta inglese sulla schiena. Lo capite vero che non è la stessa cosa?


Il termine italiano origina dal latino e significa non aver preoccupazione ma in realtà, in questi ultimi tempi, sta assumendo un significato particolare e anche Wikipedia presto lo mostrerà. Sicurezza è una di quelle
parole che possiamo definire storicizzate e non è più neutra e bonaria ma richiama a quel “security” impersonato dal maschio armato anche quando viene pronunciata in italiano. Ma come mai? Cos’è successo?

È successo che è diventata la parola del secolo e questo le ha tolto la sua innocenza. Basta rifletterci un poco per averlo chiaro, ma lo vedremo tra poco. Ora proviamo a pensare ad altre parole innocenti come ad esempio “spazio” o meglio ancora “spazio necessario a vivere”. Non ha nulla di strano o di inquietante a meno che non si provi a ricordare qualcosa tratto dai libri di storia contemporanea o non lo si legga nella lingua tedesca. Ecco che “lebensraum”, ovvero “spazio vitale” assume un suono che inquieta, anzi, che fa paura. Dietro quel suono si nasconde la teoria genocidaria di Hitler. Quindi ci si ferma inorriditi e si capisce che le parole dirigono o seguono o, comunque, s’intrecciano con le scelte politiche di un dato periodo e in un dato contesto.

La parola “sicurezza”, quindi, ancora per poco verrà rappresentata da un casco giallo o da una famigliola protettiva. Presto non ci sarà più neanche bisogno di sostituirla con la più minacciosa “security” perché i due termini si identificheranno, solo che, in omaggio alla lingua dell’impero, sarà più elegante, e forse anche più efficace, pronunciarla all’anglosassone.

 Ma chi ci ha regalato tutto questo? Si potrebbe dire l’America, intendendo con ciò gli Stati Uniti, e l’uso della lingua porterebbe immediatamente in questa direzione.

E invece no. Non è dall’America che ci viene questo regalo ma da un paese molto più vicino a noi. Un paese che della “security” ha fatto una narrazione falsa ma protettiva più di uno scudo portentoso e magico e dietro quello scudo è riuscito e riesce a compiere ogni crimine garantendosi l’impunità. Così, pian piano, visto che i nostri opinion maker si fanno ossequiosi ripetitori del messaggio israeliano con sottofondo di “right to security”, fino a confondere vittima e carnefice, oppressore e oppresso, occupante e occupato, è diventato moderno e indispensabile anche per noi garantirci comunque e ovunque la sicurezza. Non quella del nonno che fa attraversare la strada agli scolari o quella che salva gli operai dal cancro per amianto o i braccianti dallo sfruttamento, no!

Quella è roba da prima repubblica! La security è altro! E’ l’uomo – e siccome siamo moderni e femministi forse anche la donna – che gira armato per garantire agli utenti dei trasporti ATM la dovuta sicurezza.

L’arroganza con cui questi ometti indossano il loro giubbotto, e l’ostentazione di virilità conquistata attraverso la scritta bianca e la pistola al fianco, a qualcuno farebbe venire in mente un altro termine,
 sempre in inglese per essere moderni e sufficientemente sudditi dell’impero, e quel termine sarebbe “danger” e, insieme, verrebbe alla mente una piccola riflessione che prende il nome di Cucchi, Aldrovandi, o
scuola Diaz, o tanto altro che abbiamo visto fare da altre divise. Ma erano divise militari e ben separate dai civili. In tutti i sensi! Invece, i Rambo che indossano il giubbotto ATM (cioè azienda trasporti Milano) con la scritta security e la pistola al fianco destro non sono militari. Il loro essere civili armati significa che Israele, anche stavolta, ha fatto scuola. Là, in Israele, si vedono civili di tutte le età, bambini compresi, addestrati all’uso delle armi e liberi di portare un mitra in spalla. Ma Israele è un paese democratico, lo si può emulare! Però noi abbiamo leggi che non lo consentono. E allora assistiamo ai primi passi di
militarizzazione della società attraverso la parola magica “sicurezza” trasformata in “security”.

Speriamo che come è diventato un tabu il termine lebensraum lo diventi anche security perché l’unica vera sicurezza la si ha quando si è in sintonia con la comunità e non quando ci si arma per proteggersi dal
proprio vicino o, come nel caso dei Rambo ATM, quando si gira armati tra i viaggiatori della metro comunicando senza bisogno di parole che “il giustiziere è in mezzo a voi”.

Se non mi sbaglio era Brecht a dire “beato quel popolo che non ha bisogno di eroi”, bene, io penso che oggi si possa dire “beato quel popolo che non si lascia ingannare dalla polisemia delle parole”.

lunedì 18 dicembre 2017

Russia: l’economia cresce, nonostante le sanzioni

Il presidente della Banca di Russia, Elvira Nabiullina, ha dichiarato che l’inflazione in Russia, all’inizio del 2018, sarà al 3%, per poi assestarsi attorno al 4% entro la fine del prossimo anno. Il 4% è appunto l’obiettivo del governo russo.
“L’inflazione sarà al 3% circa nei primi mesi del 2018. Secondo la nostra stima, l’inflazione si avvicinerà al 4% nella seconda metà dell’anno, in quanto l’influenza dei fattori temporanei di quest’anno svanirà”, ha infatti dichiarato il banchiere.
“Il successo della nostra agricoltura ha svolto un ruolo chiave nella riduzione, così significativa, dell’inflazione: l’aumento annuale dei prezzi dei prodotti alimentari a novembre è stato appena dell’1,1%”, ha affermato.
“Gli effetti associati al grande raccolto del 2017 verranno gradualmente esauriti: nella prima metà del 2018, questo fattore continuerà a influenzare il livello dell’inflazione annuale, verrà completamente esaurito solo nel terzo trimestre”, ha aggiunto Nabiullina.
“Secondo la nostra stima, l’effetto dell’aumento del rublo sull’inflazione nel 2017 è dell’ordine dell’1% o leggermente inferiore all’1%, [l’effetto del] raccolto è leggermente inferiore allo 0,5%”, ha detto il banchiere.
L’apprezzamento del rublo sta ancora frenando l’inflazione e il suo effetto si esaurirà all’inizio del 2018, osserva Nabiullina.
“L’apprezzamento del rublo è un altro fattore che continua a tenere a freno l’inflazione, fino ad ora, soprattutto nella prima metà di quest’anno, il cui effetto si è quasi completamente riflesso nei prezzi e sarà completamente esaurito all’inizio del 2018”, ha affermato Nabiullina.
Intanto la Banca Mondiale ha previsto una crescita del Prodotto Interno Lordo dell’1,7% per il prossimo anno e per l’1,8% per il 2019.
Ciò dimostra che, nonostante le sanzioni volute dagli Usa contro la Russia, l’economia continua a crescere e non ne risente. E adesso, la Gran Bretagna si è ridotta a dover elemosinare forniture di gas naturale russo, per non restare al gelo.
Le sanzioni, volute dagli USA e dai suoi satelliti più importanti, e poi imposte a tutti i Paesi UE, non hanno quindi sortito effetti importanti e duraturi sull’economia russa, danneggiando più i Paesi occidentali, che Mosca.

venerdì 15 dicembre 2017

Il mondo impazzisce, mentre la Siria di prepara all’aggressione sionista

Ancor più selvaggio e pazzo. Abbiamo già discusso, in un altro post, il dilagante guasto che affligge tanti governi oggi. Gli Stati Uniti, probabilmente la più grande potenza del mondo, sono guidati da un maniaco che vive in un bozzolo di auto-inganno e delusione. Orgoglioso e dedito alla millanteria, è deciso a dimostrarsi differente dagli altri capi che definisce “politici”, nel senso che “fa ciò che dice di fare”. Lo scandalo oggi è la minaccia di trasferire l’ambasciata degli Stati Uniti da Tel Aviv a Gerusalemme. I leader mondiali adottano normalmente tali minacce come posa ma, con Trump, universalmente considerato un mina vagante, la minaccia ha una certa risonanza. L’amministrazione Trump è dedita a servire abomini rabeliani. L’ambasciatore statunitense presso l’entità sionista è un sionista al 100%. Il genero del presidente Jared Kushner, rivelatosi il fondatore di un’organizzazione che sostiene gli insediamenti illegali in Cisgiordania ed è, a detta di tutti, uno stupefacente psicosionista dal DNA russo. Ora che gli Stati Uniti sono fuori dal processo di pace, grazie alla magnanimità di Trump verso i coloni sionisti, può iniziare a prepararsi a un nuovo Medio Oriente dove non dovrà preoccuparsi di questioni umanitarie o di coscienza. No, farà solo ciò che è nell’interesse degli USA, ad esempio: occupare terre appartenenti ad altri Paesi con o senza il consenso dei loro governi; vendere enormi quantità di armi alle tirannie alleate; potenziarle in tutto ciò che riguarda i beni naturali necessari agli Stati Uniti; eliminare ogni rispetto di sé rimasto agli arabi; e, con sua grande sorpresa, osservare i piani di dominio affondare nella storica palude dei misfatti insieme all’abominio sionista che controlla il suo regime e la sua nazione. Oltre a vendere miliardi di dollari in missili e ordigni ai pazzi pedofili dell’Arabia Saudita, affinché possano continuare la guerra criminale e genocida contro gli yemeniti, Trump brama guerre contro Corea democratica e Iran, entrambi potenze che possono affondare le navi statunitensi, per non parlare di difendere le proprie terre con tenacia fanatica. Trump cerca di distogliere l’attenzione dalle indagini di Robert Mueller e potrebbe effettivamente avviare nuove guerre per ottenere proprio tale fine. Non ha promesso nuove guerre all’estero nella campagna per la Casa Bianca. Quella promessa elettorale si è rivelata una menzogna flagrante. La mia nuova fonte, Chris, ora dice che gli Stati Uniti costruiscono un enorme complesso militare sotterraneo a nord della capitale giordana Amman. Chris collega tale mostruosa base alla compagnia Halliburton, gestita dal noto vigliacco, boia e guerrafondaio Dick Cheney. Quando il popolo della Giordania scoprirà che tale base ha lo scopo di continuare l’occupazione statunitense del mondo arabo, potrebbe infine impazzire e deporre il tirannico Pollicino che di nascosto distrugge la dignità che potrebbero ancora avere.
La base a nord della capitale giordana è un’attestazione della riluttanza delle “intelligence” CIA, Mossad e saudita ad accettare la sconfitta in Siria. È quel fastidioso piano iraniano d’estendere un gasdotto attraverso l’Iraq fino al litorale siriano che alimenta tale ossessione. Ma c’è dell’altro, dice Chris, che insiste sul fatto che gran parte della pianificazione volta a deporre il Dr. Assad era legata ai vasti giacimenti di petrolio scoperti nel sottosuolo delle alture del Golan, che i sionisti vogliono sfruttare col loro solito modo cupido e malevolo. Hanno concesso a una società statunitense, la Genie Energy (del New Jersey), i diritti per estrarlo. Genie Energy è di proprietà di Dick Cheney, Jacob Rothschild e Rupert Murdoch, principali azionisti. Secondo un articolo di Michael B. Kelley su Business Insider, fu concessa un’area di 153 miglia quadrate nella parte meridionale delle alture. Il trasferimento del petrolio, tramite il gasdotto, coinvolgerà inevitabilmente Halliburton, la società una volta guidata da Dick Cheney. Quindi, cosa faranno i giordani quando Trump annunciava il 6 dicembre che intende riconoscere la rivendicazione sionista su Gerusalemme e spostarvi l’ambasciata degli Stati Uniti? Cosa faranno sapendo che il loro miserabile re ha cercato di dissuadere l’indomabile Trump da tale incredibile raggiro del diritto internazionale e degli accordi ONU? Accidenti, non lo so. Ma ciò che so è che il cosiddetto re, suo padre e suo nonno prima di lui, erano tutti traditori del popolo arabo. E un leopardo non può cambiare le proprie macchie. La decisione è stata presa per spodestare il Dottor Assad usando forze dirette. Il passato affidamento ai fantocci ha generato un amaro fallimento. Per far sì che l’estromissione avvenga, diverse anatre vanno messe in fila.
Il primo segmento di tale piano è mantenere le forze statunitensi a tutti i costi in Iraq e Siria. Come molti hanno sentito, il Pentagono ha incautamente dichiarato che intende mantenere proprie truppe in Siria per tutto il tempo necessario a sostenere gli interessi statunitensi, qualunque cosa significhi. Siamo convinti che gli Stati Uniti stiano ammassando proprie forze in Siria per compensare la perdita prevedibile della base turca d’Incirlik, dove statunitensi, inglesi e francesi escogitano i loro piani per schiavizzare il popolo arabo. Non solo, la nuova base sotterranea che Chris indica in Giordania, evidentemente, viene sviluppata per compensare la perdita attesa della base statunitense di al-Udayd in Qatar, mentre Doha continua ad espandere i legami con l’Iran ridimensionando gli interessi per l’alleanza del Golfo Persico. Re Abdullah II di Giordania è al corrente di tale tradimento. Ma è un bravo attore, come suo padre. Gli Stati Uniti devono restare in Siria anche perché i curdi sono vulnerabili agli eserciti siriano, iracheno e turco. Gli statunitensi pensano che solo restandovi, alcuna combinazione di forze oserà sfidare le pretese ostentate dall’esercito statunitense. O si? I taliban combattono gli Stati Uniti da 16 anni e non si vede una fine. Aspettate solo che le milizie afghane e irachene inizino l’insurrezione contro gli Stati Uniti in Siria, coi sacchi per cadaveri che si accumulano sull’asfalto delle piste. Tanto per le promesse di Trump di non immischiarsi all’estero. I curdi hanno un ruolo più profondo e significativo da svolgere in Siria di quanto appaia. Vedete, i curdi, molti siriani, possono dare agli Stati Uniti la foglia di fico della legittimità necessaria a giustificarne la presenza in Siria. I curdi, da parte loro, possono essere impiegati per arrembare il corridoio che Teheran intende utilizzare per l’oleodotto ed armare Hezbollah. Con gli Stati Uniti invischiati e incastrati coi curdi, il Pentagono crede che non ci sarà alcun sforzo per destabilizzare tale assurdo piano senza innescare una risposta militare statunitense. È così che iniziano le guerre all’estero e Trump non ne ha la minima idea. Secondo Chris, lo Stato profondo coinvolge molti attori, ognuno dei quali ha interesse nella cacciata del Dr. Assad e del Partito Baath. Aziende come Halliburton, Monsanto, Blackwater (Academi), Lockheed-Martin, Wackenhut e DynCorp fanno tutte parte della stessa rete di cabalisti intrecciati e decisi a garantire avidamente tutta la ricchezza del Medio Oriente a favore dell’entità sionista. A loro non importa di SIIL o al-Qaida, semplici pedine che usano per accerchiare la preda prima di divorarla. Il capo dello SIIL, Abu Baqr al-Baghdadi, fu programmato a Tel Aviv dal Mossad e dagli psicologi della CIA dopo essere stato rilasciato dalla prigione in Iraq. Ne scrissi molto in un precedente post, ma pochi ne hanno parlato anche se ero l’autore che ha rivelato che la dirigenza dello SIIL era formata da ex-ufficiali sunniti dell’esercito di Sadam prima che venissero scacciati da L. Paul Bremer.
Affinché le anatre siano in fila, il quartier generale delle operazioni saudite deve sincronizzarsi con quello giordano e sionista. Mentre la Giordania ha molta esperienza nel coordinarsi col Mossad, i sauditi sono ancora dei neofiti in ciò e affinché possano svolgere il loro ruolo efficacemente, gli agenti del Mossad, che sarebbero ad Amman, hanno avviato un corso virtuale per spettri rivolto ai traditori sauditi. Vengono insegnati a comunicare e individuare, maneggiare agenti e tecniche di assassinio. Ho ricevuto alcuni rapporti secondo cui il corso non va bene a causa della totale ignoranza dei wahhabiti. Tuttavia, verrà deciso di perseguire gli obiettivi dello Stato profondo statunitense con o senza sauditi. La crisi dello Yemen va risolta. Divora tempo e risorse dei sauditi, perciò il governo saudita decideva di partecipare ad essenzialmente una guerra di sterminio per piegare gli zayditi. Tuttavia, se la storia insegna qualcosa sull’Arabia Felix, è che il popolo dello Yemen è ostinato come la roccia. I sauditi uccideranno molti bambini, ma alla fine saranno sconfitti, una concessione che non sarà di buon auspicio per l’alleanza sionista-giordana-saudita. I sauditi devono risolvere le divergenze col Qatar. Ad essere sinceri, va chiesto il perché di tale conflitto. Se la questione ha a che fare con finanziamento ed organizzazione del terrorismo in Siria, è nota la complicità saudita proprio in tale attività. Perché i sauditi, ora sotto il tallone di MBS, creano una nuova crisi basandosi su una menzogna? Può darsi che fossero preoccupati dell’accusa di crimini di guerra o temessero che i siriani avrebbero difficilmente spodestato il Dott. Assad. Queste sono semplici possibilità per spiegare il comportamento politico aberrante dei sauditi. Ma se non riescono a porre fine al conflitto col Qatar, l’ombra dell’Iran ricadrà sul Golfo con un elemento chiave decisamente nel campo iraniano. Come già scritto, il Qatar ha evidentemente rinsaldato le relazioni con Teheran assicurandosi l’accesso al famigerato gasdotto. Se è così, può darsi che la collusione con un nemico giurato spinga i sauditi ad accusare Doha di quanto potrebbero esserlo loro. Ironico, no?
Il piano richiede anche un esercito sionista al vertice del gioco. Le recenti manovre nel Golan e in Galilea dimostrano che il nemico pianifica un attacco molteplice ad Hezbollah ed Esercito arabo siriano. Se è così, l’alto comando sionista deve considerare la probabilità che Hezbollah ed EAS possano usare un vasto arsenale missilistico sulle città della Palestina occupata. L’Iron Dome non è in grado di intercettare 100 razzi al minuto, il che è esattamente ciò che Hezbollah ed EAS faranno. L’Iron Dome sarà sopraffatto, e se l’Iran lancerà missili sullo Stato dell’apartheid sionista, il quadro sarà tutt’altro che allegro. Eppure, questo è esattamente ciò che i sauditi sperano: una reazione massiccia, possibilmente nucleare, dei militari di Mileikowski. Questo potrebbe essere l’unico scenario che darebbe ai sauditi e al loro futuro stramboide MBS, la vittoria sull’Iran. Che lo Stato colone sionista entri in uno scenario apocalittico come quello descritto è difficile. Tuttavia, a meno che i sionisti non trovino un modo migliore per liberare la Mezzaluna Fertile dalle ambizioni iraniane, questo è tutto ciò che hanno. Di certo, potrebbero provare ad attaccare solo Hezbollah per evitare di creare l’inferno che l’inghiottirebbe distruggendogli lo Stato. Ma è difficile vedere come l’attacco ad Hezbollah non sfugga al controllo e coinvolga attori come Esercito arabo siriano, pasdran iraniani e addirittura Russia. Con statunitensi, sauditi e sionisti che collaborano cogli sfortunati giordani, si può vedere dove tutto ciò porterà.

giovedì 14 dicembre 2017

Inganno ai danni del popolo italiano

Siccome in un sistema di moneta-debito, qual è l’Eurosistema, metà del debito pubblico è creato dai computer delle banche dell'eurozona e non è altro che l’equivalente della liquidità in circolazione, la signora Christine Lagarde,  capo del Fondo Monetario Internazionale, sta ordinando ad un computer di cancellare qualche decina di miliardi di moneta elettronica in nome di quel meccanismo criminale noto come Fiscal Compact.

Così facendo, ci toglie liquidità e si assicura che nei prossimi mesi continuiamo a decrescere come facciamo da 10 anni, svalutando tutti i nostri beni che potranno quindi essere acquistati a saldo e stralcio dalle élite finanziarie di cui la signora cura gli interessi.

mercoledì 13 dicembre 2017

Cosa si nasconde dietro l’esclusione della Russia dalle Olimpiadi invernali 2018

Martedì 5 dicembre, in una riunione del comitato esecutivo del Comitato Olimpico Internazionale (CIO), si è deciso di sospendere temporaneamente la composizione del Comitato Olimpico Russo (OKR), e di vietare alla squadra nazionale russa di partecipare ai Giochi invernali del 2018 a Pyeongchang in Corea del Sud a causa di manipolazione all’interno del sistema anti-doping nel Paese. Gli atleti russi “puliti” saranno in grado di prendere parte alle competizioni nello status di “olimpionici dalla Russia”, sotto la bandiera del CIO.
Il giorno dopo, il 6 dicembre, è seguita la reazione delle autorità russe. Il presidente russo Vladimir Putin ha detto che gli olimpionici, se lo desiderano, potranno partecipare alle Olimpiadi del 2018 a titolo personale. Cioè, sotto la bandiera del CIO.
Putin ha ammesso, con una certa auto-critica, che la Russia stessa ha fornito al CIO la scusa per prendere la decisione di sospendere la nazionale dalle Olimpiadi invernali, ma che questo non è stato del tutto onesto. Quale sia questa scusa non è del tutto chiaro dal discorso di Putin. È tuttavia possibile che l’uso di doping da parte di singoli atleti russi sia stato rivelato.
Putin ha spiegato che “non è del tutto onesto” perché è stato coinvolto il principio della responsabilità collettiva. “In nessun sistema di legge del mondo è prevista la responsabilità collettiva,” ha detto il presidente russo. La disonestà dei singoli atleti non dovrebbe servire come scusa per vietare a tutta la squadra di partecipare alle Olimpiadi. Putin ha anche chiarito che la decisione del CIO è politica.
Questa organizzazione, secondo le parole di Putin, si sarebbe basata su alcune “affermazioni infondate”, usate come prove convincenti di violazioni da parte della Russia — prove che però non sono state fornite. “È importante che le conclusioni della commissione affermino che non vi era alcun sistema di sostegno statale per il doping in Russia, che è una conclusione importante,” ha detto il presidente russo.
Ora, può ragionevolmente sorgere la domanda se questa decisione del CIO diverrà un precedente per l’ulteriore indebolimento della squadra russa. È anche possibile che dalla partecipazione ai Giochi olimpici o ai campionati verranno rimossi gli atleti russi più forti che costituiscono una pericolosa competizione per gli atleti di altre nazioni (primi fra tutti, gli USA).
Una prima possibile spiegazione è la seguente: le organizzazioni sportive internazionali controllate dagli Stati Uniti userebbero il doping per rimuovere i concorrenti più pericolosi dalle Olimpiadi. A sostegno di questa tesi vi è il fatto che il CIO chiude gli occhi sul diffuso utilizzo di doping tra degli atleti americani. Forse la decisione del CIO del 5 dicembre ha comportato una mossa politica: a marzo si terranno le elezioni presidenziali in Russia e la campagna per screditare Vladimir Putin è già iniziata negli Stati Uniti. Solo pochi giorni fa, il Congresso degli Stati Uniti ha privato dell’accreditamento il canale televisivo russo Russia Today, che è molto popolare tra il pubblico di spettatori americani.
La seconda possibile spiegazione è che i funzionari russi dello sport, gli stessi che erano in carica un anno e mezzo fa alla vigila delle Olimpiadi di Rio, non sarebbero stati in grado di affrontare correttamente la situazione. Le conseguenze del loro lavoro sarebbero quindi andate a gravare sugli atleti e sul presidente Putin. Il Ministro dello Sport russo, Vitaly Mutko, avrebbe dovuto essere deposto dopo che gli atleti russi erano stati banditi dalla partecipazione alle Olimpiadi di Rio, ma ciò non è avvenuto. Pertanto, i russi non incolpano solo il “gioco sleale” degli americani, ma anche i loro stessi funzionari sportivi. In una forma velata, entrambe le spiegazioni sono contenute nel discorso di Putin.
Tuttavia, oltre alle Olimpiadi di Pyeongchang, altri eventi ruotano intorno alla regione, e non riguardano solo il mondo dello sport. Gli Stati Uniti stanno preparando esercitazioni militari su vasta scala nella Corea del Sud. Può quindi sembrare che gli americani abbiano intenzionalmente stuzzicato i nordcoreani e li provochino in un conflitto. Il 7 dicembre, infatti il Ministero degli Esteri Corea del Nord ha detto che le esercitazioni militari degli Stati Uniti e della Corea del Sud, così come le dichiarazioni da parte dei politici statunitensi, sarebbero una prova che questi intendono attaccare militarmente la Corea del Nord. La Corea del Nord è pronta per la guerra. Se le esercitazioni di entrambi gli eserciti dovessero continuare o se si dovesse verificare uno scambio di colpi, esiste anche l’ipotesi che le Olimpiadi di Pyeongchang non si svolgano affatto.

lunedì 11 dicembre 2017

Rapporto OCSE: Tra «fake news» e allarmismi

Nuovo attacco dell’Ocse al sistema pensionistico italiano. Secondo il rapporto «Pension at a glance 2017», reso noto ieri, questa spesa è pari al 16,3% del Pil (dato del 2013), inferiore solo alla Grecia (17,4%) e doppia rispetto alla media Ocse (8,2%). Dal 2000 sarebbe aumentata addirittura del 21%. Da sola, la spesa previdenziale assorbirebbe un terzo di quella pubblica: il 32% contro il 18% della media dei paesi Ocse. Questi dati sono fake news. È stato da tempo chiarito – ma non ancora abbastanza, evidentemente, per gli «esperti» dell’Ocse – che in Italia la spesa previdenziale contiene quella dell’assistenza.
È un’anomalia, segnalata dai sindacati fino al presidente dell’Inps Tito Boeri secondo il quale l’Istituto dovrebbe chiamarsi «della Protezione sociale» e non della «Previdenza». Su 440 prestazioni erogate, solo 150 sarebbero di natura pensionistica. Felice Roberto Pizzuti ha scritto di recente su Il manifesto che, esclusi i trattamenti di fine rapporto (un salario differito, ammortizzatori sociali, non pensioni) e la valutazione al lordo delle ritenute fiscali (in Italia mediamente più elevate) la spesa netta per le pensioni è pari all’11% del Pil in linea con quella di Francia e Germania. Non solo. Secondo Alberto Brambilla, ex sottosegretario di un governo Berlusconi, i conti sarebbero in attivo. Le entrate sono di 172,2 miliardi, le spese 168,5 miliardi. L’attivo sarebbe di 3,7 miliardi, esclusa l’assistenza.
Ci si interroga sulle ragioni di questa disinformazione sistematica, del resto non nuova. Per Giorgio Ambrogioni, presidente del Cida, l’allarmismo dell’Ocse si spiega con la volontà politica di creare un conflitto generazione tra giovani e anziani, facendo credere che siano le pensioni di questi ultimi ad essere la causa della precarietà dei primi. C’è anche un altro motivo: dopo avere rapinato i dipendenti pubblici con il blocco degli stipendi e del turn-over, e avere tramortito quelli del privato con un taglio dei salari, tra i più bassi in Europa, ora è il turno delle pensioni usate come bancomat per prelievi straordinari o blocchi alla perequazione. Da ultima, deve avere pesato l’intenzione dei sindacati di bloccare l’aumento automatico dell’età pensionabile stabilita dalla «riforma» Fornero. Già la Commissione Ue ha avvertito il governo a non cedere a una richiesta in fondo modesta e ragionevole. L’avvertimento è diventato una minaccia la settimana scorsa quando è stata diffusa la «bufala» di una spesa pari a 88 miliardi di euro in più di quanto lo Stato incassa dai contributi, il 5,2% del Pil. Questa fake news è contenuta in un «rapporto sull’invecchiamento» della Commissione Ue.
Sul tavolo restano i problemi reali, creati a partire dalla riforma Dini del 1995. L’Italia è uno dei pochi paesi ad avere vincolato l’età pensionabile all’aspettativa di vita. Per questo motivo i giovani nati nel 1996 che oggi hanno vent’anni lavoreranno fino a 71 anni e 2 mesi. È la stima più alta di tutti i paesi Ocse dopo la Danimarca (74 anni). Ma queste cifre sono puramente indicative. Considerato il calo delle nascite (-100 mila in dieci anni) e l’aumento dell’età media (nel 2050 gli over 65 saranno il 72% contro una media Ocse del 53%) è possibile che l’asticella crescerà ancora di più, arrivando ai 75 anni prospettati da Tito Boeri o, perché no, anche 80. Al di là delle cifre, poco credibili, il senso delle riforme previdenziali – e del mercato del lavoro, dal «pacchetto Treu» del 1997 al Jobs Act del 2015 – che hanno portato a questa situazione è il seguente: in un’economia post-fordista, dove il lavoro «fisso» è destinato a essere sostituito da quello «precario», si lavorerà sempre di più, per tutta la vita, con stipendi irrisori e con pensioni da fame – sempre che i ventenni riescano a raggiungere il traguardo, «lavoretto» dopo «lavoretto». Una prospettiva non certo scontata rispetto alla quale nessuno – Ocse compreso – riesce a dare una spiegazione che non sia quella di considerare inevitabile la prospettiva disumana di una vita indebitata e povera per tutti.
Dietro il gran parlare sulle pensioni oggi c’è questa bomba sociale. E sono ancora in pochi a denunciarlo. Lo ha fatto ieri il segretario confederale Cgil Maurizio Landini per il quale «bisogna rimettere mano a una riforma delle pensioni sbagliata che non dà futuro ai giovani. Il sistema puramente contributivo non esiste al mondo tranne che in Cile. E mi sembra un bel disastro».

mercoledì 6 dicembre 2017

I PADRINI DEL PONTE

Capitale mondiale dei droni da guerra, base avanzata per le forze speciali e di pronto intervento USA e NATO e, da oggi, anche centro strategico per i programmi di supremazia nucleare planetaria delle forze armate degli Stati Uniti d’America. Segretamente, senza che mai il governo italiano abbia ritenuto doveroso informare il Parlamento e l’opinione pubblica, sta per entrare in funzione nella grande stazione siciliana di Sigonella la Joint Tactical Ground Station (JTAGS), la stazione di ricezione e trasmissione satellitare del sistema di “pronto allarme” USA per l’identificazione dei lanci di missili balistici con testate nucleari, chimiche, biologiche o convenzionali. Una specie di “scudo protettivo” tutt’altro che difensivo: i moderni dottor Stranamore del Pentagono puntano infatti al controllo “preventivo” di ogni eventuale operazione missilistica nemica per poter scatenare il “primo colpo” nucleare evitando qualsiasi ritorsione da parte dell’avversario e dunque i limiti-pericoli della cosiddetta “Mutua distruzione assicurata” che sino ad ora ha impedito l’olocausto nucleare.
 “JTAGS è il principale sistema di US Army per integrare ed espandere le capacità di allarme, attenzione e pronta informazione sui Missili Balistici da Teatro (TBM – quelli con gittata compresa tra i 300 e i 3.500 km) ed altri eventi tattici che interessano il teatro operativo che utilizza i network di comunicazione esistenti”, spiega il Pentagono. “Esso è in grado di ricevere e processare tutti i dati trasmessi a banda larga dai sensori della costellazione satellitare del Defense Support Program. JTAGS determina la fonte TBM identificando il punto e il momento di lancio del missile, la sua traiettoria e il punto e il momento dell’impatto. Nel momento in cui è installata nel teatro di guerra, riduce la possibilità di singole interruzioni nei sistemi di comunicazione dei rispettivi Comandi. I benefici operativi includono anche quello di poter dare i segnali d’attacco agli assetti operativi per individuare e distruggere le capacità di lancio del nemico. JTAGS svolge anche un ruolo operativo a favore dei Comandi di guerra all’estero e dei Sistemi di difesa dai missili balistici (BMDS) per la protezione degli assetti militari, delle popolazioni civili e dei centri geopolitici. Opera anche nell’ambito del Theater Event System (TES) del Comando per le operazioni spaziali USA”.
La Joint Tactical Ground Station di “pronto allarme” contro i missili da teatro è sotto il controllo della 1st Space Company (JTAGS), una compagnia ultraspecializzata della 1st Space Brigade dell’US Army Space and Missile Defense Command, attiva dal 1992 presso il quartier generale di Colorado Springs (Colorado). La JTAGS è stata elaborata e realizzata dai colossi industriali Aerojet e Northorp Grumman e sino ad oggi ha visto operativi cinque distaccamenti composti da personale misto dell’esercito e della marina militare: due presso l’installazione di comando di Colorado Springs; una per le attività di addestramento a Fort Bliss (Texas) e altri due rischierati fuori dal territorio USA (in Europa, Corea o Giappone). Ogni stazione JTAGS è ospitata all’interno di shelter protetti dagli attacchi NBC (nucleari, batteriologici e chimici) e può essere facilmente trasportata via terra a bordo di camion pesanti o per via aerea grazie ai velivoli cargo C-141 dell’US Air Force.
Secondo il report progettuale redatto nel novembre 2014 dagli ingegneri del NAVFAC - Naval Facilities Engineering Command (titolo: Joint Tactical Ground Station – JTAGS. Relocation at the Naval Air Station II Sigonella, Sicily, Italy), il terminale terrestre JTAGS di Sigonella “fornirà lo spazio operativo, di manutenzione, stoccaggio e amministrativo per i sistemi di processamento delle informazioni del sistema JTAGS”. La nuova installazione si compone di un edificio con una superficie di 500 metri quadri e un’area recintata con tre antenne di telecomunicazione satellitare del diametro di 4,5 metri. “Le fondamenta per sostenere le tre antenne saranno adeguatamente rinforzate e tutte le utilities sotterranee saranno collocate all’interno di condotte protette e connesse alle nuove antenne e all’edificio che fungerà da centro di controllo”, si legge nel progetto NAVFAC. “Saranno pure installati reti e sistemi d’illuminazione di sicurezza e videocamere, mentre il nuovo edificio ospiterà gli uffici amministrativi, le sale per i server e i sistemi di telecomunicazione elettronica. La stazione JTAGS opererà 24 ore al giorno, sette giorni alla settimana; il numero degli addetti impiegati per gli scopi del programma sarà di 35 unità”. Sempre secondo le indicazioni del Comando d’Ingegneria di US Navy, l’area prescelta per il nuovo sito di guerra missilistico e nucleare è quella a ridosso dell’edificio n. 465 di Sigonella, in direzione sud-est, vicina anche al grande impianto di trattamento acque di NAS 2 e della strada d’accesso agli hangar e alla pista di volo.
La “ricollocazione” a Sigonella della facility di pronto allarme missilistico è stata inserita tra i programmi strategici delle forze armate USA nel bilancio di previsione per l’anno fiscale 2016 (budget di spesa previsto, 1.850.000 dollari), congiuntamente alla realizzazione nella base siciliana degli hangar e dei centri operativi dei nuovi droni-spia “Triton” di US Navy (40.641.000 dollari) e degli hangar e della facility di supporto per nuovi velivoli pattugliatori P-8A “Poseidon” (62.302.000 dollari). Secondo il data base con i contratti sottoscritti dall’Amministrazione USA, i lavori di realizzazione della stazione  JTGS hanno preso il via nella primavera 2016 e si sono conclusi il 6 ottobre 2017.
Sulla rilevanza strategica della nuova Joint Tactical Ground Station di Sigonella si è soffermato il 13 aprile 2016 il generale David L. Mann (a capo del Comando generale per la difesa missilistica strategica e spaziale di US Army), durante la sua audizione nel Comitato per le forze armate del Senato degli Stati Uniti d’America. “In supporto al Joint Force Commander, il nostro Comando per la difesa missilistica continua a fornire il pronto allarme sui missili balistici in diversi teatri operativi”, ha spiegato Mann. “I nostri distaccamenti JTAGS sono installati all’estero per assicurare il controllo missilistico da parte di USSTRATCOM e delle nostre forze militari operative fuori dai confini nazionali. Continuiamo ad ottimizzare queste capacità e quest’anno abbiamo ottenuto il sostegno del Governo d’Italia per ricollocare il JTAGS in Europa presso la Sigonella Naval Air Station”. Nel 2016, presidente del Consiglio era Mattero Renzi, ministra della difesa (come oggi) Roberta Pinotti, entrambi Pd.

martedì 5 dicembre 2017

Manovra, l’eterno ritorno del buco

Le prime volte era un colpo di scena, ormai è una tradizione. Come ogni anno, la Commissione europea ha qualcosa da ridire sul progetto di legge di Bilancio presentato dall’Italia. In particolare, Bruxelles ci rimprovera di non rispettare gli impegni sulla riduzione del debito e del deficit strutturale, ma rimanda la valutazione decisiva alla primavera del 2018, cioè a dopo le elezioni. Solo allora conosceremo la pagella finale sul debito, che secondo le autorità europee rimane “fonte di preoccupazione”.

Per il momento il Tesoro ha ricevuto dalla Commissione soltanto una lettera, l’ennesima. Nel testo – spiega il commissario Ue agli Affari economici, Pierre Moscovici – si ravvisa che per l’anno prossimo l’Italia prevede una correzione del deficit strutturale pari allo 0,1%, mentre servirebbe “uno sforzo dello 0,3%”. Questo significa che il prossimo governo, se mai ci sarà, rischia di iniziare il proprio mandato con una manovrina correttiva da circa 3,5 miliardi di euro.

Schermaglie simili fra Roma e Bruxelles fanno parte ormai di un rituale ciclico, che si ripete eternamente come il volgere delle stagioni. Non serve nemmeno uno sforzo di memoria eccessivo per ricordare l’ultimo episodio della saga. Lo scorso 27 ottobre la Commissione aveva già inviato al ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, una lettera in cui lamentava che la correzione strutturale era inferiore allo 0,3% dichiarato, peraltro già frutto di uno sconto rispetto allo 0,6% richiesto dalle regole europee. Il Tesoro aveva risposto contestando il metodo di calcolo dell'output gap, ovvero la differenza tra il prodotto interno lordo effettivo e quello potenziale, che porterebbe a stime non plausibili per l'Italia.

Stavolta però, visto l’approssimarsi del clima natalizio, la letterina di Bruxelles contiene anche un altro regalo: l’ammonimento a non vanificare “le importanti riforme strutturali” varate fin qui, a cominciare da quella delle pensioni, “che supporta la sostenibilità a lungo termine del debito italiano”.

La Commissione fa riferimento alle polemiche delle ultime settimane, con i sindacati che chiedevano al governo di cancellare l’adeguamento automatico dell’età pensionabile all’aspettativa di vita, meccanismo che dal 2019 alzerà per tutti l’asticella a 67 anni. L’esecutivo ha portato Cisl e Uil ad accettare come compromesso un nuovo pacchetto di misure previdenziali da inserire nella legge di Bilancio, mentre la Cgil ha continuato a protestare.

Poi però il governo si è rimangiato, almeno per ora, una parte delle promesse. Nell’emendamento alla manovra presentato la settimana scorsa non c’è traccia del fondo per estendere l’Ape social né dello sconto contributivo per le donne da sei mesi “fino ad un anno per ogni figlio”, sempre e solo per le lavoratrici che rientrano nell’Ape social. Si tratta di “punti presenti nel documento di impegno del governo ai quali teniamo molto e che dovranno essere oggetto dell’esame alla Camera”, si è difesa la presidente della commissione Lavoro a Montecitorio, la democratica Annamaria Parente.

Intanto, i partiti hanno iniziato l’assalto alla diligenza. La legge di Bilancio conterrà anche il decreto milleproroghe, il minestrone di fine anno con cui si approva di tutto un po’ mentre il Paese è distratto dalle feste. Perciò la manovra sarà l’ultimo provvedimento utile per far passare misure da spendere poi in chiave elettorale. Negli ultimi giorni, ad esempio, gli alfaniani hanno imposto al governo di rifinanziare per tre anni il bonus bebè, mentre Campo progressista e parte del Pd si sono scagliati contro il superticket sanitario.

Ciascuno di questi interventi sposta risorse significative e non è ancora chiaro dove saranno pescate. Di sicuro c’è che il rimbrotto di Bruxelles faceva riferimento al testo originario della manovra, varato dal governo prima delle trattative con sindacati e partiti. Di conseguenza, alla fine i saldi rischiano di essere addirittura peggiori di quelli valutati dalla Commissione europea. Non resta che aspettare la prossima lettera

lunedì 4 dicembre 2017

Censis: povertà in Italia quasi raddoppiata rispetto al periodo pre-crisi

Più intensa, minorile, etnicizzata: sono questi, secondo il 51° Rapporto Censis, i volti della povertà in Italia. Oltre 1,6 milioni di famiglie (dato aggiornato al 2016) sono in condizioni di povertà assoluta, con un boom del +96,7% rispetto al periodo pre-crisi. Gli individui in povertà assoluta sono 4,7 milioni, con un incremento del 165% rispetto al 2007. Tali dinamiche incrementali hanno coinvolto tutte le aree geografiche, con un'intensità maggiore al Centro (+126%) e al Sud (+100%).
Il boom della povertà assoluta rinvia a una molteplicità di ragioni, ma in primo luogo alle difficoltà occupazionali, visto che tra le persone in cerca di lavoro coloro che sono in povertà assoluta sono pari al 23,2%. Il fenomeno ha una relazione inversa con l'età: nel 2016 si passa dal 12,5% tra i minori (+2,6% negli ultimi tre anni) al 10% tra i millennial (+1,3%), al 7,3% tra i baby boomer, al 3,8% tra gli anziani (-1,3%).
La povertà assoluta ha l'incidenza più elevata tra le famiglie con tre o più figli minori (il 26,8%, +8,5%). I dati mostrano un altro trend il cui potenziale sviluppo può avere gravi implicazioni nel futuro: l'etnicizzazione della povertà assoluta. Nel 2016 il 25,7% delle famiglie straniere è in condizioni di povertà assoluta contro il 4,4% delle famiglie italiane, mentre nel 2013 erano rispettivamente il 23,8% e il 5,1%.

venerdì 1 dicembre 2017

Grecia: aumentano i bambini a rischio di povertà, sono il 38%

Anno dopo anno, dal 2010, il numero dei bambini a rischio di povertà in Grecia è in continuo aumento. Con il 37,5% dei bambini a rischio di povertà, la Grecia è al primo posto tra i Paesi della zona euro e terza dopo Romania e Bulgaria all’interno dell’Unione Europea.

Quattro bambini su dieci di età fino ai 17 anni in Grecia sono a rischio di povertà o esclusione sociale: lo ha calcolato l’agenzia di statistica europea Eurostat, mettendo il paese colpito dalla crisi al vertice della scala della povertà infantile della zona euro.

Nel suo rapporto pubblicato lunedì, basato sui dati del 2016, Eurostat ha riferito che con il 37,5% di bambini che affrontano la minaccia della povertà, la Grecia ha il più alto tasso di bambini a rischio nell’eurozona e il terzo più alto nell’Unione Europea, dopo Romania (49,2%) e Bulgaria (45,6%).
All’estremo opposto della scala, le quote più basse di bambini a rischio di povertà o esclusione sociale sono state registrate in Danimarca (13,8%), Finlandia (14,7%) e Slovenia (14,9%), davanti alla Repubblica Ceca (17,4%) e ai Paesi Bassi (17,6%).

La Grecia ha registrato anche il più alto aumento del numero di bambini a rischio nel periodo tra il 2010 e il 2016, con un aumento dell’8,8% rispetto al livello precedente alla crisi (28,7)%. Anche Cipro ha visto un aumento del 7,8%, seguita da Svezia (5,4%) e Italia (1,1%).

Complessivamente nel 2016 24,8 milioni di bambini nell’UE, ovvero il 26,4% della popolazione di età fino a 17 anni, erano a rischio di povertà o esclusione sociale. Questo significa che i bambini vivevano in famiglie con almeno una delle seguenti tre condizioni: a rischio di povertà dopo trasferimenti sociali (povertà di reddito), materialmente svantaggiati in modo grave o con bassissima intensità di lavoro.

Secondo quanto riferito da Eurostat, la percentuale di bambini a rischio di povertà o di esclusione sociale nell’UE è leggermente diminuita nel corso degli anni, dal 27,5% nel 2010 al 26,4% nel 2016.

P.S. Povertà infantile? Chi se ne importa. I creditori della Grecia sono impressionati dalle misure di austerità attuate nel paese e dalle straordinarie cifre dell’economia…